Premio OzieriPremio Ozieri di Letteratura Sarda 

di Gian Gabriele Cau

 

 

La vicenda del testamento (o dei testamenti) dell’uomo d’armi, cavaliere Salvatore Leonardo De Tola noto Leonardo Tola (Ozieri, 1449-1503) è complessa e per certi versi ancora oscura. Secondo la testimonianza dell’avvocato Enrico Tola , suo discendente per il ramo ozierese, che qui si ringrazia per numerose notizie, note biografiche  e genealogiche, il più illustre personaggio del nobile casato ozierese, “il Magnifico”, avrebbe stilato due atti, uno in forma privata il 7 gennaio 1503  e un secondo qualche settimana dopo, che annullava il precedente, molto più sintetico e detto ‘pubblico’, dettato sul letto di morte all’età di 54 anni.
“Il primo, un testamento spirituale, amplissimo, considerava tutti i membri della sua famiglia – afferma Enrico Tola  – e tante cose riguardanti la sua casa; si ritiene fosse in possesso della linea familiare discesa da Salvatore, uno dei figli di Leonardo. Fu allegato alla vertenza nobiliare vestita nel 1572 tra il Regio Fisco da un lato e Diego Tola Çentelles e Antonio Tola Çedrelles dall’altro, definita con sentenza favorevole ai Tola del 16 maggio 1575, per il riconoscimento nobiliare in particolare del ramo dei Regi Vicari di Alghero. Tale testamento, – prosegue l’avvocato – forse ritirato dai legittimi possessori alla fine della vertenza o forse rimasto entro il fascicolo di causa, è andato smarrito ma è conosciuto da taluni storici e richiamato per stralci sia nella detta causa, sua riassunzione, sia in altri documenti .
Da questo – conclude Enrico Tola – si apprende che Salvatore Tola era gemello (secondo venuto alla luce) di Antonio . Nello stesso documento è citato anche l’ultimo figlio di Leonardo, Filippo che, in contrasto con la famiglia, partì per la Spagna poco prima della morte del padre e non si ebbero più sue notizie”.
 

 

 

 

Del secondo testamento, quello detto “pubblico”, oggi rintracciato in copia dattiloscritta , scrive l’illustre Pasquale Tola, anch’egli discendente di Leonardo , nel Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna per taluni lasciti in favore di alcune chiese ozieresi e in particolare di quella che egli intese come la «nuova opera di Santa Maria” . La possibilità di riesaminare l’antico, pressoché inedito documento permette di focalizzare la consistenza di quelle “molte ricchezze” del quasi leggendario asse ereditario e di cogliere interessanti spunti di carattere storico, etno-funerario, giuridico e linguistico solo anticipati in forma di saggio .
Il testo che, per la valenza culturale e per l’unicità – è la più completa copia nota – si ritiene utile riproporre nella sua relativa integrità (in corsivo), glossato da note esplicative (in tondo), è quello riportato nella tesi di laurea Gli illustri Tola e le loro imprese di Giovanni Braina . Lo studente ebbe modo di conoscere un documento comunque mutilo, oggi disperso, all’epoca conservato presso donna Rosalia Tola  in piazzetta Francesco Ignazio Mannu ad Ozieri. La copia esibita dalla nobildonna potrebbe essere quella imprestata dai Tola di Sassari a don Salvatorico Tola Carta , padre di donna Peppina Tola Gaias e mai restituita, nonostante reiterati solleciti.
Ciò premesso si viene all’analisi storica del dattiloscritto.

A dies 13 de Freargiu de annu Domini.

Il testo esordisce con una discordanza cronologica con i dati rilevati da Pasquale Tola. Secondo lo storico il testamento sarebbe datato “3 febbraio 1503” e la morte da collocarsi al 12 dello stesso mese, il giorno prima che gli eredi – lo si dirà più avanti – ne domandino copia al canonico Nicola Cassada , che aveva raccolto le ultime volontà. Nella versione del Braina entrambi i termini (il 13 febbraio in testa al primo foglio e il 13 febbraio in calce all’ultimo) coincidono. Si è portati a prestare credito al sassarese non solo per la sua maggiore esperienza, ma soprattutto perché è improbabile la coincidenza di tre eventi in uno stesso giorno: testazione, decesso, rivendicazione ereditaria, che l’accettazione della proposta del Braina comporterebbe.

In X<risto> nomine. Eo Leonardu Tola figiu de Comita De Tola e de Catterina Desini quondam de Othieri, sende sanu de mente et infirmo de su corpus giacente in su lettu in sa camera mia in domo mia e volende mirare - veru giudisciu de su altissimu Deus - <e> assigurare sa   regula ecclesiastica, et in s’ordine de veru cristianu pro disgarrigu de s’anima mia, ordinat e faghet su testamentu infrascrittu chiusu e sigilladu in podere de su reverendu canonigu Nicola Cassada (annullende e cassende quale siada testamentu qui ha<e>ret fattu) et qui custa est s’ultima voluntade mia, et qui hapet valore et efficaccia tantu pro testamentu, comente pro codissiliu e prus.

Leonardo si presenta come figlio di Comita De Tola, da intendersi come Comita Salvatore, figlio di mossen Folco , nato ad Ozieri nel 1396 e morto ad Ozieri nel 1469, reggente e sindaco del Monteacuto, regio capitano di Ozieri, sposato in prime nozze a Sassari nel 1430 circa con la donzella Isabella De Cardona e in seconde nozze a Ozieri nel 1444 con la donzella Caterina De Siy Fara .
Il Braina concorda con Pasquale Tola nel riconoscere la madre di Leonardo in Catterina Desini. La loro lettura non coincide, tuttavia, con quella di Francesco Floris che nel saggio Una famiglia del Monte Acuto , rifacendosi ad una citazione dal testamento privato scevro degli errori in cui era incorso il Cassada nel pubblico, giustamente trascrive “Catterina De Sii” e stabilisce una parentela (nipote) con quel Folco De Sii sindicus che, su delega dei capifamiglia di Ozieri, nel 1388 aveva firmato la pace tra Eleonora di Arborea e il re Giovanni di Aragona.
Da buon cristiano, per pace dell’anima sua, il cavaliere intende testare nelle mani del canonico Nicola Cassada che più avanti eleggerà esecutore testamentario. Il documento è chiuso e sigillato, annulla qualsiasi atto precedente e ha efficacia di testamento e di disposizioni attuative dello stesso (codissilliu).

Item p<ri>mo. Si Deus fatterat sa voluntade sua qui pas¬sera dae custa vida presente, eleggio sa sepultura mia <i>nue de<t> ordinare su senore mons. Carillo et su officiale donnu Gotnari Seche et sos operajos de Santa Maria de Othieri.

L’elezione del luogo della sua sepoltura – ragionevolmente, perché parrocchiale, all’interno della chiesa di Santa Maria (l’odierna Cattedrale dell’Immacolata di Ozieri)  – è rimessa, con umiltà e, forse, con un minimo di astuzia, alla determinazione dell’officiale del Monte Acuto Gonario Seche , dei fabbriceri della stessa chiesa e, in primo luogo, di un certo Senore Mons. Cirillo probabile errata trascrizione di Senore Mons. Carillo da identificarsi, si crede, con il discusso Alfonso Carrillo della nobile famiglia catalana, forse del ramo signori di Mondéjar, giunto in Sardegna al seguito di suo cugino Alvaro visitatore generale del regno e vicerè interino prima dell’arrivo di Giovanni Dusay.

 

 

Il sospetto è sostenuto dalla anteposizione del nome del Cirillo allo stesso luogotenente del Monteacuto, la maggiore autorità civile locale. La priorità sottintenderebbe uno status più elevato, non riscontrabile in alcun Cirillo ma perfettamente calzante all’Alfonso Carrillo luogotenente del procuratore reale, già primo ricevitore del Riservato del Regno nel 1492 e incaricato della riscossione delle rendite reali dal 1497. Il titolo onorifico di “Mons[ignore]” in quell’epoca era conferito a re, principi e cavalieri, oltre che a ecclesiastici di un certo rango. L’assenza dell’attributo di “Reverendo”, riconosciuto nello stesso testo a “su canonicu Nicola Cassada”, esclude che il Cirillo possa essere il rettore della parrocchiale di Santa Maria e convalida l’ipotesi di un laico quale fu lo spregiudicato Carrillo, forse conosciuto da Leonardo quando era podestà di Sassari , che per timore riverenziale, avrebbe garantito una prestigiosa sepoltura all’interno della parrocchiale.
Negli anni seguenti lo spagnolo, che incarnava gli ideali del Principe di machiavellica memoria, fece la sua fortuna politica ed economica, per cui agli inizi del Cinquecento figurava proprietario di navi ed era in condizione di portare a termine numerose speculazioni. Con grande spregiudicatezza dal 1519 fu procuratore reale: coperto da amici compiacenti ai quali aveva a sua volta reso molti favori, riuscì ad attingere direttamente alla cassa reale per costruirsi un consistente patrimonio feudale. Morì nel 1530 senza mai rendere conto a nessuno del proprio operato .

Item. Voglio e cumando chi mi siat fatta chera, inter su die de sepultura et j su sette, unu cantare si nqu’este in domo mia.

Item. Una missa cantada sa die de sa morte, et leggendas quantos preideros hana poder haer.

Ha l’avvio con questa disposizione la prima fase di un complesso rituale funerario, caduto in disuso: il morituro comanda che tra il giorno della sepoltura e il settimo giorno dalla morte siano accesi dei ceri (chi mi siat fatta chera), nella misura di un cantaro, se tanta se ne trovasse in casa sua (unu cantare si nqu’este); e ancora: una messa cantata il giorno del trapasso e tante messe lette (leggendas) quante ne possano dire i sacerdoti.

Item. Cunfesso qui quando cuntrattai su matrimoniu de Angelesa filia mia leggittima e naturale cun Don Angelu Satta li sunu promissas liras milli quinbighentas da su canonigu Jorge De Tola figiu meu quondam et quinbighentas eo; de su quale voglio qui siat sadisfatta sas quinbighentas liras qui eo so obbligadu dae sa rentas mias et sos benes mios, su qui deviat restare de sa parte mia, pro qui de hat recidu in pannos et atteras cosas.

Per onorare una promessa fatta alla figlia secondogenita Angela Teresa detta Angelesa (Ozieri 1474 † Ozieri 1538 ?)  quando sposò don Angelo Satta, il testante aggiunge alle 1.500 lire lasciate dal canonico Giorgio Tola (Ozieri 1472 † Ozieri 12. 1501), primogenito di Leonardo premorto al padre, un legato di altre 500 lire dai propri beni, che si sommano alle stoffe e altre cose già date in dote matrimoniale.
La disposizione è di sicuro interesse, perché attesta l’importazione in Sardegna di consuetudini registrate in testamenti catalani del XV secolo e rappresentate dalla costituzione della dote della promessa sposa, mediante donazioni di diversi familiari .

Item. Voglio et cumando chi siat dadu ad Antoneddu su qui istat in domo a su presentu como, unu giù territoriu de laore et de alvada (...) cun cudda domo qui (...) de Pilosu Muzzos comente siat de (...) pro istare isse, et in su tempus happat a servire in domo a muzzere mia, a fizzos mios, et simili li diet un pudredu.

La lacunosità del testo non ne inficia la comprensione: Leonardo lascia in proprietà al servo fedele Antoneddu un fondo agricolo coltivabile (de laore et de alvada), un puledro e una casa in usufrutto, dove possa abitare nel tempo che servirà la moglie e i figli. La dimensione dell’appezzamento con casa rurale è di unu giuu, equivalente ad un terreno arativo, seminabile con due starelli di grano.

 

 

 

Item. Lasso ad Antoni De Tola figiu meu leggittimu et naturale sa vingia de Puppurruggiu cun sa domo et cun sos cungiados chi sunt a costadu, et sos des Sos Fustia¬vos qui siant suos, et qui ne fattat totta sa voluntade sua, et cun tottu sas cubas e tinas qui sunt intro de sa ditta vingia. Et simile lascio a su dittu Antoni figiu meu quimbighentos bulos et totta s’attera roba stante et movente, fattu tottu sas preditas lassa<s>, lasso.

È suo figlio Antonio De Tola (1476-1546) regidor del Monteacuto e coniugato con Margherita Zatrillas, considerato il gemello maggiore e, quindi, in virtù del maggiorasco il vero erede della fortuna paterna. Il maggiorasco (dal castigliano mayorazgo derivato di mayor ‘maggiore’) è un’istituzione spagnola affermatasi a partire del XVI secolo, per la quale il patrimonio di una casata, al fine di evitare la dispersione, passava in eredità dall’ultimo possessore a chi gli era più vicino in grado di parentela. In caso di parità di grado tra più possibili aventi diritto, il patrimonio, come in questo caso, veniva trasmesso al maggiore di età tra quelli. Ad Antonio vanno, dunque, la vigna di Puppuruju  (alla periferia sud dell’abitato di Ozieri) con casa, botti e tini, i terreni limitrofi e quelli de sos fustia¬vos . Parte dell’antica vigna, trasmessa di generazione in generazione per quasi cinque secoli dai Tola, è individuata in un appezzamento ad ovest della piscina comunale, oggi ad uso di orto, con rari vitigni superstiti, nel 1978 lasciato in eredità alle suore Filippine da donna Peppina Tola ultima discendente ozierese di Leonardo .
Sorprende che il de cuius citi quale primo bene in eredità al figlio una vigna che, per quanto grande, non dovette avere dimensioni latifondiarie e ometta di scendere nel dettaglio su terreni certamente estesi, rapportabili quantomeno al pascolo di 500 bovini, e di un numero indeterminato di capi ovini e suini (s’attera roba […] movente), che il ricco condottiero lascia intuire. Il fatto si giustificherebbe con la scarsa lucidità e l’affanno di una disposizione testamentaria dettata da Leonardo sul letto di morte.
Pur nell’impossibilità di dire di più sul terreno, o sui presumibili terreni, lasciati in eredità, si prende nota che nel 1592 nel Liberu Octavu dell’Archivio del Capitolo della Cattedrale di Ozieri, un discendente di Leonardo, forse un pronipote , “su magn[nifi]cu m[astr]o Salvadore De Tola maggiore de tempu […] ipotecat totu sas terras suas aradorgias chi tenet in sa bidatone de Serra de ruos sas cales lacana aparen cun terras de m[astr]o Agustinu De Tola” . Parimenti ‘su mag[nifi]cu m[astr]o Salvadore De Tola’ coniugato terras aradorgias de su padru de sa p[rese]nte villa” , individuabili in quelle all’immediata periferia di Ozieri, sulla strada per Olbia.
Tacitamente parrebbe diseredato Salvatore (Ozieri 1476 † Sassari 1551) gemello minore di Antonio, alcaiyde di Porto Torres, coniugato con Maria De Çentelles in prime nozze e con Francisquita De Calvia in seconde, e così anche gli altri fratelli . In realtà, dalle rare citazioni del primo testamento, quello privato, si apprende – per il tramite dell’avvocato Enrico Tola – che, in deroga al maggiorasco, “Salvatore ebbe in eredità molti beni ad Oschiri, Tula e Sassari dove era anche un palazzo” . L’accoglimento della notizia, credibile perché non si trova alcuna ragione dell’esclusione dall’eredità di Salvatore – semmai di riguardo, essendo stato suo scudiero in Spagna   – sarebbe in conflitto con quanto disposto nell’ultima disposizione Altri figli  ebbero in vita parte dei beni paterni in forma dotale: il sacerdote Giorgio e la quintogenita Caterina monaca del Rosario (Ozieri 1477 † Sassari) in occasione dell’ordinazione e dell’emissione dei voti. In favore di Giorgio, nel 1493 al rientro da Granada, Leonardo fondò, dotandola di molti beni, una prelatura canonicale, con il titolo di Santa Maria. Tale prebenda sarà ereditata nella famiglia Tola sino alla abolizione dei privilegi ecclesiastici . Solo ad Angelesa, quale complemento della dote matrimoniale, in virtù di una promessa fatta in occasione delle nozze, si è detto in precedenza, Leonardo lascia un legato di 500 lire. È invece escluso dalla partizione l’ultimogenito Filippo (Ozieri 1478/79).

Item. Cunfesso, lasso pro Deus et pro s’anima mia a canonigu Nicola Cassada unu pudredu domadu su mezzus chi est in sos de Nigola De Tola nebode meu.

Al canonico Nicola Cassada Leonardo lascia un puledro domato, il migliore tra quelli in possesso di suo nipote cavalier Nicola Tola (Sassari 1498 ca. – 1551 ca.) all’epoca minorenne, figlio di Gioacchino fratello minore di Leonardo, sposato in prime nozze con Maria Angela Satta e in seconde con Maria Giuseppa Satta, da cui discende la linea ultragenita di Bolotana, oggi rappresentata dall’anziana Margherita .

Item. Lasso pro Deus et pro s’anima mia a Sant’Antiogu de Bisarciu unu (...)

Una lacuna, forse dovuta ad imperizia o comunque a difficoltà nella lettura, non permette di fare luce sulla consistenza del legato in favore della Cattedrale di Sant’Antioco di Bisarcio . Il rimpianto è maggiore perchè il testamento è stilato appena dieci mesi prima che la bolla papale Æquum reputamus di Giulio II sopprimesse l’antica diocesi, accorpandola con Castro e Ottana alla novella Diocesi di Alghero. Non si esclude – ma manca il riscontro – un lascito importante per sostenere la sede episcopale che, per volontà di papa Alessandro VI, aveva sorte già segnata.

 

 

 

Item. Cunfesso chi cando contraesi matrimoniu cun donna Tommea Corona presente canonigu Anghelu Casula cuntraesi qui eo non li dovia dare si no a voluntade mia de sos benes mios, et qui a sa ditta muzzere mia lasso qui istet in domo mia donna et domina et qui istet una cun figios mios; et quando non si potam pesare, qui issa isteret in s’attera domo, qui li siat dadu pro su viver sou de su bene meu quantu at a voler stare in Othieri cun onore sua sa vida; e quando sa ditta muzzere mia non voleret istare et voleret torrare a domo sua, qui li siat torradu Sessanta ducados de oro qui eo cunfesso qui li appo ricividos da issa, pro su quale voglio qui se li sian torrados, et simile se li siat dadu sa vida bene a istare, et pius {qui} cumando qui siat lassadu custa camera hue so infirmu a su presente durante sa vida sua.

Il nome della moglie Tomea De Coronell, figlia di Raimondo Filippo Coronell barone di Blondell , sposata a Sassari , è dal Cassada sardizzato in donna Tommea Corona. Leonardo ricorda il patto matrimoniale con il quale non aveva assunto obblighi patrimoniali nei suoi confronti, ma da buon marito e padre di famiglia le concede di abitare la sua casa con i figli. Nel caso che questi non possano essere cresciuti (pesados) , quindi nell’ipotesi di premorienza, comanda che lei alloggi nell’altra casa, con onore e diritto agli alimenti, fin tanto che soggiornerà ad Ozieri. Qualora decidesse di tornare dai suoi, dispone che le siano restituiti i 60 ducati d’oro avuti in dote e le concede l’usufrutto della camera dove si trova infermo.
La previsione della restituzione del credito a Tomea palesa l’adozione di un regime patrimoniale matrimoniale dotale piuttosto che quello proprio del “matrimoniu a sa sardisca”, già attestato nei condaghes e poi codificato dalla Carta De logu di Eleonora di Arbora . “Il primo prevedeva la comunione dei  beni tra i coniugi; il secondo, invece, teneva distinti i beni, e prevedeva la comunione dei frutti provenienti dai beni “dotali” e da tutti gli altri posseduti prima del matrimonio e pervenuti dopo “constante matrimonio” a qualsiasi titolo” . Tuttavia la riserva “qui eo non li dovia dare si no a voluntade mia de sos benes mios” introduce un elemento di novità, che devia dal regime dotale puro e propende verso quello “a sa sardisca”, dando origine ad un sistema misto, nel quale non c’è comunione se non per quanto Leonardo, senza alcun vincolo, avesse voluto condividere.
La genericità del testo non permetterebbe da sola di stabilire l’ubicazione delle case residenziali, almeno due all’interno della villa, di Leonardo. Si ha ragione di ritenere, tuttavia, che, stante la condizione di grande agiatezza del condottiero, questi abbia abitato un adeguato palazzo, tramandato di generazione in generazione a più eredi Tola, così come lo è stata di certo, lo si dirà più avanti, la sua vigna di Puppuruju. Sulla base di questo assunto non sarebbe affatto arduo avanzare ipotesi identificative, sostenute da antiche attestazioni documentali distanti dalla prima trasmissione ereditaria ad Antonio meno di un secolo.

 

 

 

I primi dati relativi alle abitazioni ozieresi della sua discendenza sono quelli che emergono, ancora una volta, dal Liberu Octavu, nel quale molti fedeli avevano ipotecato le loro proprietà per i Divini Offici istituiti ad Ozieri dal vescovo di Alghero e Unioni Andrea Baccallar, nel 1592. Da questo si apprende che “su mag[nifi]cu m[astr]u Joan[n]e De Tola […] obligat sa domo sua posta in piata  ojos a domo de don Jeronimu  De Sini  et a segus de S[an]ta rughe et a buturighinu in mesu de frades De su Gillu” . Dalla topografia ottocentesca si rileva che il toponimo Piatta trova corrispondenza nello slargo maggiore dell’odierna via Giuseppe Grixoni, mentre la chiesa di Santa Croce, abbattuta a metà Ottocento per l’ampliamento della cattedrale, era parte di un piccolo isolato compreso tra l’attuale piazza Duomo, via Giuseppe Grixoni, via Derna e la retrostante gradinata di via Francesco Pais Serra anticamente  nota come sa falada de Mossen Tola, sa carrera de Mossen Tola o de Missin Tola  o, più semplicemente, Messer Tola . Ove si riconoscesse Leonardo “il Magnifico” nel mossen eponimo, si ricaverebbero da detto censo talune coordinate per individuare una delle abitazioni di Leonardo, forse la principale, passata in eredità appena ottantanove anni prima ad Antonio nonno dello stesso Giovanni .

 

 

 

 

Secondo una tradizione popolare, locale “sa domo ‘e Mossen Tola”, o più credibilmente l’area dove sarebbe sorto almeno l’antico nucleo della casa di Leonardo, sarebbe al numero 20 di via Pais Serra, in un’area assolutamente compatibile con quella della casa ipotecata dal pronipote nel 1592 . La stessa costruzione si trova, infatti, in Piatta e fa angolo con due vie, via Pais Serra topograficamente “a segus de Santa Rughe”, dove aveva casa il dirimpettaio “don Jeronimu De Sini” ed un tratto di via Grixoni corrispondente al “buturighinu in mesu de frades De su Gillu” . L’ipotesi trova ulteriore riscontro nella mappa catastale della metà dell’Ottocento, dove solo le abitazioni degli isolati alla sinistra di chi si muove in via Pais Serra nel senso da via Grixoni verso piazza Carlo Alberto – tra le quali è questa al numero 20 – sono censite come ubicate in località Messer Tola, mentre quelle a fronte sono registrate come frontiera del quartiere Donnigazza.
In detto rilievo il palazzo è frazionato in tre parti, una in proprietà dei Marcello  un nobile casato stretto da numerosi legami di matrimonio con i Tola del ramo di Bolotana, una dei nobili Gaias anche questi imparentati con i Tola  e una dei Campus . Una quarta, oggi inesistente e censita come “casa rurale”, era all’epoca in proprietà dei “Germani Figos” . Potrebbe trattarsi di una scuderia, forse di quel “portigale de sa stalla” che, si dirà più avanti, dava accesso alla casa lasciata quale legato alla serva Brunda.
Per quanto nei secoli si siano diluiti gli affetti tra la linea genealogica dei Tola di Ozieri e di Bolotana, non si esclude che il passaggio di proprietà dai Tola ai Marcello possa comunque trovare la sua ragione nei solidi apparentamenti bolotanesi. Per certo, invece, il don Giuseppe Ignazio Gaias, titolare del mappale 2668 dello stesso rilievo ottocentesco, è cugino primo di donna Battistina Gaias Bertolotti moglie di don Gavino Tola Sequi .
Dal gentilizio palazzotto di via Pais Serra – il più imponente tra i coevi fabbricati ozieresi – derivano due olii su tela della fine del XVIII secolo, in origine intelaiati su antiche porte interne, quindi strutturalmente pertinenti alla costruzione. Una di queste, oggi in collezione privata a Cagliari ritrae una Nobildonna con due bambini, probabilmente l’allora proprietaria con i figli, l’altro, ancora in situ, una coppia di Duellanti con fioretto, uno dei quali veste le braghesse alla Sivigliana, di moda nel Cinquecento . Non si esclude che, per analogia con la tela gemella, anche in questo caso si sia voluto ricordare nell’uomo d’armi un familiare, forse lo stesso Leonardo per i meriti di Granada, alla cui Alhambra, con una possibile Torre del Homenaje in evidenza, sembra alludere il castello arroccato nello sfondo.

 

 

 

L’ipotesi assume il carattere di una convalida, ove si consideri tra le altre corrispondenze con la piazzaforte granadina la rocca sottostante il castello distinta in due massicci rocciosi, così come appare nelle stampe ottocentesche, e un insolito scenografico albero, che riecheggia il leggendario gigantesco Cipresso della Sultana, testimone silenzioso nei giardini del Generalife degli amori segreti di Morayma sposa del sultano di Boabdil e di un cavaliere capo degli Abenceragi . Nel modello ozierese l’albero non sembra avere le fattezze di un cipresso, ma manca di un ramo alto, mostrando – ancora una volta – una convergenza con il destino di quello della sultana colpito, secondo leggenda, da un fulmine . Per la straordinaria coincidenza di dati storici, genealogici, topografici, toponomastici e iconografici, si avrebbe ragione di credere che realmente in via Pias Serra possa avere avuto residenza Leonardo Tola.
Altra probabile traccia per la localizzazione di una seconda casa del de cuius si ricava da quella del “mag[nifi]cu m[astr]u Austinu De Tola”, che, ubicata “suta a corte [,] a ojos tenet domos sua et a segus sa domo de Mazacau De Tola a muru in mesu a una parte sa domo de m[astr]u Tola  et a satera  parte a domo de su ditu Mazacau De Tola” pronipote di Leonardo . Dalla associazione di tante case e palazzi emerge il profilo di una sorta di “quartier generale” dei Tola, individuabile in quello ancora abitato nel Novecento dagli ultimi discendenti ozieresi del valoroso condottiero: donna Giuannica in piazza Duchessa Borgia n. 2  e don Mario Tola Grixoni al numero 36 di via Grixoni .

 

Item. Lasso pro Deus e pro s’anima mia e pro su serviziu chi mi hat fattu a Brunda sa meidade che tenzo in su Molinu cun mastru Bonacorsu Frau et sa domighedda chi est de nanti de Jorge de Milis, qui ada sa porta in su portigale de sa stalla, chi siat sua.

Alla serva Brunda per riconoscenza del servizio prestato Leonardo lascia la metà delle pertinenze del mulino che ha in comproprietà con Mastru Bonacorsu Frau e la casetta davanti a quella di Jorge De Milis, che ha ingresso nel porticato della stalla. Il portigale a cui si fa riferimento, in quanto pertinente alla stalla, è ben differente da quelli propri delle architetture dei palazzi dei benestanti della villa, quale dovette essere quello del palazzo di piazza don Pietro Satta n. 2, di cui avanza una porzione di un arco incassata nel muro. È invece più che probabile, si è detto in precedenza, che nel porticato possa riconoscersi quella “casa rurale”, antistante sa domo ‘e Mossen Tola, in proprietà dei “Germani Figos” a metà dell’Ottocento. L’ipotesi, per quanto non determinante, sostiene direttamente l’identificazione della casa di Leonardo in quella in via Pais Serra n. 20, già individuata per il tramite del pronipote Giovanni.
Dalla planimetria dell’abitato di Ozieri di Carlo De Candia del 1844  si rileva il percorso del fiume che attraversava piazza Carlo Alberto, tangente il seminario tridentino. Si sospetta che il mulino, molto probabilmente lo stesso attestato ancora nel Seicento , sorgesse sulla stessa area; il fatto giustificherebbe l’estensione del toponimo “Messer Tola” fino alle prime abitazioni di piazza Carlo Alberto e via Umberto, ben oltre l’attuale via Pais Serra.

 

 

 

Item. Voglio e cumando chi, comente sia mortu, in tottu s’annu mi sian resadas missas centu peri cuddos preide¬ros chi ana ordinare sos fizzos o commissarios mios, ciò est sos preideros pro canonigu Nicola Cassada, e canonigu Quirigu Pagollu.

Nel corso dell’anno successivo alla sua dipartita, per volontà del testatore, saranno recitate cento messe da parte di sacerdoti indicati dai suoi figli o dai suoi esecutori testamentari Canonigu Nicola Cassada e Canoni¬gu Quirigu Pagollu.

Item. Voglio et cumando qui a su sette sa ghera supra narada e timanzu sia fatta.

Il de cuius raccomanda che allo scadere della settimana siano accesi i predetti ceri e fatto uso di incenso (timanzu). L’antica espressione “de kera e de timangia” è attestata nel Condaghe di San Pietro di Silki (secc. XI -XIII) .

Item. Qui siat fattu in pane trigu raseris battor, e pettas et pibere et tottu sas cosas qui siant necessarias secundu su onore meu, et qui sos figios et commissarios lu appan a fagher subra sos benes mios.

Item. Piusu una missa cantada, et missas leggendas cantu hana podere haere in su die de su sette.
Item. Lasso simile cui siat fatta a su die de su trinta tantu de missas quantu de sas atteras ispesas.

Leonardo impone ai figli che per il settimo giorno dalla sua scomparsa siano approntati quattro rasieri di grano per il pane, carni e pepe (spezia assai ricercata e costosa che è misura del suo status di benestante) e quanto è necessario secondo il suo onore e a sue spese. La disposizione attesta l’antica usanza de sa limosina pro s’anima che consegue s’accunortu, l’invio del pranzo per il conforto della famiglia in lutto da parte di parenti e amici. Ancora oggi ad Ozieri, a Pattada, ad Osidda e a Nule sopravvive, particolarmente nel mondo pastorale, la rara consuetudine di fare dono anche a persone bisognose delle carni di una vitella macellata all’occorrenza, ad una settimana o ad un mese dalle esequie, quale sacrificio in suffragio dell’anima del compianto. La ricorrenza settimanale si chiude, nella disposizione testamentaria, con una messa cantata e tante messe lette quante ne possano dire i sacerdoti di Ozieri, e l’imperativo che lo stesso cerimoniale sia replicato nel trigesimo.

Item. Lasso a s’opera de Santa Maria de Othieri pro Deus et pro s’anima mia liras ventighimbe naro XXV.
Item. Lasso pro Deus et pro s’anima mia a Santu Giorgi et a Santu Miali et a Santu Leonardu tottu de Othieri soddos vinti pro ecclesia (…manca un quarto del foglio …)

 

 

 

È questo uno dei passaggi più interessanti sotto il profilo storico culturale. Dalle disposizioni di Leonardo si evincono nuovi dati per una revisione cronologica di antiche chiese ozieresi, in massima parte sconsacrate e abbattute tra la seconda metà del Settecento e la prima del Novecento. Si apprende così dell’antica esistenza, riferibile quantomeno al XV secolo, della chiesa di San Michele presso la Villa Altana in via San Michele, di San Leonardo “de Contra” (santo omonimo del testatore) nello spazio antistante il chiosco in piazza San Leonardo  e di San Giorgio in un cortile privato retrostante la piazza San Francesco . Le notizie più recenti relative alle tre chiese erano sinora più tarde di circa un secolo. Dall’Archivio storico diocesano di Alghero si apprende di un certo “jaganu Andrea Detori oberajo dela Jglesia de St. Miguel” nel 1589 . Del 1597 era l’attestazione di San Leonardo per un lascito di pecore per il tramite del testamento di Giovanni Mannu Murgia . Nello stesso archivio algherese, negli Atti del Sinodo Baccallar del 1581, è registrato, infine, un versamento di due ducati dell’amministrazione della chiesa di San Giorgio per il seminario diocesano di Alghero.

 

 

 La consistenza del legato per ogni chiesa è assai modesta, venti soldi pari a una lira, con cui si sarebbero dette poche messe e nulla più. Deve essere rivista anche la notizia riferita da Pasquale Tola, per il quale 25 lire sarebbero state destinate alla “nuova opera di Santa Maria”. E’ evidente che quel “nuova” sia una invenzione dello storico sassarese e che il termine “opera” vada inteso non come fabbrica, cantiere, quanto come “amministrazione” gestita dai fabbriceri (oberajos).
 A questo punto della trascrizione – “( N.B. Qui manca un quarto di foglio dell’originale, che poi segue così:)” – il Braina registra la perdita di un quarto del foglio nel quale, per esclusione, secondo la testimonianza raccolta da Enrico Tola, improbabile per l’esiguità dello spazio, si sarebbe narrata diffusamente la leggendaria impresa della liberazione dall’assedio di  Granada del 1492, nella quale Leonardo si era distinto atterrando un gigantesco moro con un laccio scorsoio (sa soga) .
 E’ invece più probabile che siano andate perdute altre disposizioni in favore di altre chiese ozieresi, quali la trecentesca chiesa di Santa Lucia , la quattrocentesca Nostra Signora di Loreto, e forse la foranea San Lorenzo.
 
Dae s’originale qui eo dittu canonigu tengiu in podere meu est copiadu fidelmente dae verbo ad verbum, et hoe fatto fide a richiesta de sos eredes da dittu testamentu et fides commissarios qui mi hana requestu ditta copia de su predittu testamentu.

Presente testis vidi ego Cosmas Sorianu presbiter sacratus litteratus professor canonicus ottavus commissarius Santissimae Cruciatae in insulis Majoricarum et Sardiniae examinavi a 92 pro annata nihil rimanebat rogatus; et requiestus manu propria mia die decimo-tertia mensi febbruari anno Domini; M°.D°. 3° (vidit commissa¬rius prefatus).
Si+gnum mei Alfonsi Sanna, notari {;} pubblici huius translatius testis.
Si+gnum mei Michaelis Barcello autoritate apostolica notaris pubblici et scriba incontrat<ae> Montis Acuti13 huius translati testis. 

La copia conforme all’originale è rilasciata dal canonico Cassada il 13 febbraio, su richiesta degli eredi e degli esecutori testamentari (commissarios), con la supervisione (vidi ego), la sottoscrizione (manu propria mia) e l’ineccepibilità (nihil rimanebat roga¬tus, et requiestus) certificata da Cosma Soriano  sacerdote, letterato, canonico, ottavo commissario della Santissima Crociata nelle isole di Maiorca e Sardegna, un organismo che aveva come finalità istituzionale quella di combattere i Saraceni.
Sottoscrivono il testamento due notai testimoni della trascrizione del testo: Alfonso Sanna  e certo Michele Barcello notaio pubblico per autorità apostolica e scrivano dell’incontrada del Monte Acuto, nel quale si crede di riconoscere quel “mosse[n] barcelo scriva dela encontrada”, patrono nel 1539 dell’altare del Santissimo Crocifisso del coro di Santa Maria, molto probabilmente il prezioso Crocifisso gotico doloroso oggi nella parrocchiale di Santa Lucia di Ozieri.

 

 

 

Si chiude così il testamento ‘pubblico’, senza alcun riferimento alla chiesa ozierese di Nostra Signora di Monserrato, che la tradizione popolare vuole sia stata edificata su commissione di Leonardo Tola, al fine di sciogliere un voto per il suo rientro ad Ozieri dalla battaglia di Granada. Al di là di quanto si creda, la più antica attestazione della chiesa dedicata alla Vergine di Monserrato ad Ozieri è del 1596, per l’identificazione di un “cunzadu  e/o pastinu […] postu in sa p[rese]nte villa in su logu quiamadu Sa Pastia, sutta N[ost]ra S[egno]ra de Mo[n]serradu” .
Lo storico Vittorio Prunas Tola considera Matteo Tola pronipote di Leonardo come benefattore della chiesa della Vergine catalana e riferisce di un’epigrafe sull’altare, oggi scomparsa, lasciando intendere che almeno questo sia stato realizzato per sua volontà: “Propris benis fecerunt fieri Mazacaus (Matteo) et Leonora Tola Coniuges – Duxit Roma doctor Quiricus Sanna vicarius perpetuus  Ocierens – eodem anno 1614” .
Si ha ragione di credere che il  riferimento epigrafico sia al simulacro della Vergine , piuttosto che ad un altare, che difficilmente sarebbe potuto essere stato traslato da Roma: è probabile che il Sanna si sia prestato ad un viaggio nella capitale per l’acquisto della sola statua a spese del Tola, forse perché nel giugno dello stesso anno era venuto a mancare il ommittente Mazacao. In tal caso, la realizzazione dell’altare, statua inclusa, potrebbe essere in conseguenza di una volontà espressa dalla moglie, in suffragio e in memoria del coniuge appena scomparso. Giova ricordare, tuttavia, che nel ricordo dei più anziani ozieresi, la statua non era inserita in un retablo ligneo, quanto in una nicchia appena ornata di poche decorazioni, dipinte sulla parete. L’altare odierno giunge, infatti, dalla chiesa di San Francesco di Ozieri ed è opera dell’intagliatore scultore ozierese Giacomo Camilla attivo nel Nord Sardegna nella seconda metà del XVII secolo.

 

Rivista Multimediale: Testamento di Leonardo Tola

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