di Luigi Agus

Di Giacomo Camilla e Francesco Selis ho già avuto modo di segnalare in altra sede l'esistenza come artefici attivi ad Ozieri nella metà del Settecento, il primo come scultore e intagliatore, il secondo, d'origine cagliaritana, come marmoraro1; tuttavia vale la pena in questa sede riprendere l'argomento per sottolineare l'importanza soprattutto del Camilla nel panorama artistico del Settecento nel Capo di Sopra.

  La biografia del Camilla è possibile ricostruirla grazie ad alcuni documenti che ho rinvenuto sia all'Archivio di Stato di Sassari, sia segnalatimi presso l'Archivio Diocesano di Ozieri, dai quali è possibile ricostruire sia la sua attività che le sue parentele. In quasi tutti gli atti il Camilla viene definito "de Ocier", ossia di Ozieri, per cui si potrebbe ritenere, nonostante il suo cognome piemontese, che sia nato a Ozieri o che vi fosse già da giovane.

  Il primo documento che riporta il suo nome è del 1751 ed è una nota a margine di una ricevuta riguardante il retablo di S. Angelo a Osidda (SS), ora scomparso. A parte la menzione dell'artista null'altro è possibile intuire da questa carta, nemmeno una connessione diretta con lo stesso retablo di Osidda se non per analogia2.

  Il documento successivo3, senz'altro il più importante, riguarda la commissione del grandioso retablo maggiore della chiesa di S. Francesco d'Ozieri, ritenuto dall'Amadu del 1691-97 e collegato alla famiglia Arca della quale vi sarebbe lo stemma (l'aquila bicipite) in cima all'altare4. Questo polittico, in realtà, fu commissionato da Gaspare Gixoni al "capimastro escultor" ozierese Giacomo Camilla il 27 febbraio 1755 per l'ingente somma di 290 scudi. Gaspare Gixoni, da quanto si apprende dal documento, era sindaco del Collegio della Missione e Minore Osservante. Le istruzioni erano abbastanza precise, infatti il retablo doveva essere "y tal y qeulu" a quello eseguito per l'altare maggiore della chiesa di S. Pietro in Silki di Sassari e doveva essere consegnato entro il 1756. poco più di un anno, quindi, per completare questa enorme ancona che ancora oggi adorna l'altare maggiore della chiesa, completa di predella e tabernacolo.

 

L'altare si presenta a foggia di doppio trittico. Verticalmente risulta suddiviso in tre spartimenti separati da colonne dorate poggianti su basamenti in aggetto ricavati dalle false balaustre decorate a fogliami dorati, risolto lateralmente con due colonne sovrapposte per lato. In ogni scomparto è ricavata una nicchia a conchiglia contornata da cherubini e fregi floreali. Le cornici, sia quella mediana che quella terminale, presentano un'ampia trabeazione decorata con bassorilievi fitoformi e cherubini che ritroviamo anche nei dadi alla base delle colonne. La parte bassa dell'ancona si presenta con la mensa centrale rialzata su due gradini, col paliotto finemente lavorato e con sopra il tabernacolo, mentre le due parti laterali presentano delle aperture per l'accesso al retro entrambe voltate e inserite tra i decori e le basi delle colonne. In cima sono collocati quattro angeli annuncianti posti al termine di ogni aggetto, mentre gli scomparti di destra e sinistra sono risolti con ampie volute piane decorate a rilievi floreali. Al centro trova posto una cuspide con lo stemma francescano sorretto da un'aquila bicipite coronata, simbolo dell'impero d'Occidente5. In ogni nicchia è collocato un simulacro. Nella nicchia centrale trova posto la Vergine con Bambino, alla sua destra S. Michele Arcangelo e alla sua sinistra S. Antonio. Nella parte superiore trovano posto tre santi francescani: al centro S. Francesco, mentre alla sua destra S. Bernardino e alla sua sinistra un altro santo vescovo francescano. Di tutte le statue solo quelle relative ai tre santi francescani sono coeve, mentre le altre sono successive.

  Importante risulta il riferimento fatto nel documento all'altare di S. Pietro in Silki di Sassari, connesso, secondo la Scano Naitza con quelli delle Cappuccine, di S. Maria dei Servi e del Rosario, sempre a Sassari. "Gli uni e gli altri - scrive la studiosa cagliaritana - hanno in comune la disposizione addossata alla parete frontale del presbiterio, che occupano interamente, la grandiosità delle proporzioni e l'eleganza dell'intaglio e della cromia, cosicché si può dire che a Sassari si conservano i più imponenti e raffinati retabli tardosecenteschi sardi"6. Vi è da rilevare, tuttavia, che le connessioni proposte dalla Naitza potrebbero risultare alquanto fuorvianti se lette esclusivamente in chiave stilistica., infatti come si è visto prima, se il retablo del Rosario può essere ragionevolmente datato al 1682, quello di S. Pietro di Silki va datato tra il 22 ottobre 1753 e l'aprile 1754 come ha recentemente rilevato la Porcu Gaias7, ripresa più recentemente dall'Onida8. Come si vede, quindi, la distanza temporale tra i due altari (oltre sessant'anni) ci fa comprendere meglio come taluni stilemi platereschi d'origine meridionale, pur sopravvivendo anche in epoca sabauda, andavano adeguandosi in favore di uno stile più sobrio e classicista, anticipato se si vuole dal retablo di S. Giovanni a Pattada. La datazione quasi coeva dei retabli di S. Pietro in Silki a Sassari (1753-54) e di quello di S. Francesco d'Ozieri (1755), nonché la menzione del primo nell'atto citato, ci porta a credere che anche quello sassarese sia uscito dalla bottega del Camilla qualche tempo prima, vista la straordinaria somiglianza tra i due e i medesimi metodi costruttivi e decorativi che evidentemente provengono dalla stessa fonte..

 

 Il Camilla nel 1760 risulta sposato con Giuseppa Tedde da cui ebbe una figlia di nome Vittoria9, sposata in prime nozze con Antonio Meloni del quale rimane vedova nel 176710. A seguito di Giacomo, lo scultore, dovette esserci anche Giuseppe, forse il fratello, il quale acquista il 6 marzo 1767 per 18 scudi una vigna in agro di Ozieri11 e il 2 aprile dello stesso anno costituisce un censo perpetuo di 2 lire sarde a favore della Compagnia di Gesù della stessa città logudorese per messe in suffragio della sua anima12.

  Giacomo Camilla, in quegli anni, fu molto impegnato in vari lavori soprattutto ad Ozieri dove opera sia per i Francescani, sia per la Collegiata. Il primo incarico per la parrocchiale collegiata di S. Maria è del 12 ottobre 1756, quando Giovanni Antonio Pinna, amministratore e obriere della chiesa, incarica Giacomo di eseguire lavori nel coro per la somma di 96 scudi13. Si trattava evidentemente di lavori di ampliamento o rifinitura, visto che l'attuale coro ligneo si deve a Giuseppe Galibardo di Alghero il quale il 15 marzo 1752 ricevette la somma di 250 scudi a saldo di quanto pattuito il 21 novembre 1750 quando l'arciprete della collegiata gli commissionò l'opera14.

  Il 7 giugno 1758 il nobile Michele Satta di Ozieri commissiona a Giacomo Camilla, scultore, un altare per la cappella della Vergine da collocarsi presso la chiesa di S. Francesco dei Minori Osservanti, opera da consegnarsi entro sette mesi per una somma di 65 scudi. Quest'opera, ormai perduta, prevedeva la statua della Madonna inserita tra colonne tortili con decorazioni floreali e una scena della Pentecoste in cima15.

  L'ultima commissione che sono riuscito a rintracciare riguardante Giacomo Camilla è del 15 agosto 1761, quando Bachisio Delogu, amministratore della chiesa di S. Andrea16, canonico e primo beneficiato del vescovo di Alghero, gli commissiona per 350 scudi un altare-retablo da realizzarsi in uno dei "cappelloni" del transetto della chiesa collegiata davanti alla cappella di S. Anna17. L'altare doveva essere realizzato secondo un disegno prodotto dallo stesso Camilla, simile a quello fatto fare da monsignor Casanova nel duomo di Sassari18, ad imitazione dei marmi dell'altare maggiore della stessa chiesa collegiata19. Di quest'opera attualmente non avanza nulla, tuttavia a Giacomo Camilla può essere ragionevolmente restituito il primo impianto della cappella del SS. Sacramento voluta dal nobile ozierese Andrea Satta nel 176720, fratello di quel Michele che commissionò l'altare della Vergine della chiesa di S. Francesco allo stesso Camilla.

  Tra le carte dell'Archivio ho rintracciato anche la commissione fatta da Antonio Sequi, obriere della Collegiata di Ozieri, del 25 ottobre 1760, quando incarica il maestro cagliaritano Francesco Selis di realizzare per i "capelloni" del transetto due altari, uno dedicato a S. Anna l'altro a S. Maria e S. Giacomo. I due altari marmorei, dei quali si ha attualmente solo memoria, furono pagati ben 560 scudi e dovevano essere realizzati, secondo gli accordi, entro il 1762. Nell'atto si specifica, tra l'altro, che l'opera dovrà essere eseguita con perizia e maestria così come era stata realizzata del Selis la cappella "magistra" della stessa chiesa21.

  Non sappiamo esattamente cosa il Selis abbia realizzato per l'altare maggiore edificato durante l'episcopato di mons. Agostino Dulbecchi (1751-1763), il cui stemma è raffigurato sul paliotto dello stesso manufatto; forse lo stesso paliotto o il gruppo della Vergine e dei due angeli posti sopra che possono essere assegnati ad un artefice vicino ai modi del Parodi22. La probabilità quindi che il Selis abbia realizzato questo gruppo scultoreo rimane da vagliare con attenzione, anche per il fatto che questo scultore, così ben retribuito, è cagliaritano ed è a Cagliari che in un periodo immediatamente precedente lavorarono Giuseppe Massetti, Pietro Pozzo e Felice Burlando, sia nel duomo che presso la chiesa gesuitica di S. Michele di Stampace23. Si trattava di un gruppo di artefici genovesi stanziatisi a Cagliari di grande spessore artistico che si rifacevano alla grande scuola di Filippo Parodi e Pierre Puget. Che questi, tuttavia, non rimasero solo a Cagliari è documentato ampiamente: il Massetti realizzò l'altare maggiore della cattedrale di Alghero, il Pozzo gli altari del duomo di Oristano, mentre il Burlando risulta impegnato al servizio del vescovo di Ampurias Vincenzo Giovanni Vico attorno al 1742, quando il presule divenne arcivescovo di Oristano24. Se quindi il Selis è vissuto in quell'ambiente cagliaritano, come porta a credere il documento, non è da escludere che possa essere l'autore di questo gruppo, anche se la prudenza, in questo caso, è d'obbligo soprattutto per la qualità veramente eccelsa di questa vergine che risulta sensibilmente evoluta rispetto al prototipo del Puget realizzato per l'oratorio di S. Filippo Neri di Genova e ripreso nel 1762 da Francesco Maria Schiaffino nella cappella del Palazzo Doria Lamba sempre Genova25. A questa maestosa scultura ozierese, deve essere collegata anche un'altra raffigurante l'Immacolata Concezione, ma di dimensioni ridotte, realizzata sempre in marmo rinvenuta recentemente a Tempio Pausania presso l'Episcopio che potrebbe essere ragionevolmente assegnata al Selis con una datazione oscillante tra il 1755 ed il 1760, ossia coeva all'altare maggiore ozierese.

 

 

Tratto da L. Agus, Giacomo Camilla "capimastro escultor" e il maestro Francesco Selis, in "Sardegna Antica".


1L. AGUS, L'altare ligneo di San Francesco. Giacomo Camilla, Francesco Selis e gli altari settecenteschi ad Ozieri, in: "La Voce del Logudoro", 22 giugno 2003, p. 3..
2Il documento mi è stato segnalato da Gian Gabriele Cau, che qua doverosamente ringrazio, e riporta una menzione di Jaime Camilla: nel 1751(?) è registrata una spesa pro su retaulu della chiesa di S. Angelo di Osidda e nello stesso foglio una spesa per pagare lo stesso Jaime Camilla.
3ASS, AA.NN., Alghero 1755, Atti Ville, c. 73, Ozieri, 27 febbraio 1755.
4F. Amadu, in: Diocesi di Ozieri, fede storia e arte, Ozieri 2000, p. 57.
5Quest'aquila bicipite nella medesima foggia la si ritrova anche a Codrongianos (SS) nella chiesa della Conversione di S. Paolo, come finitura del fastigio del retablo di S. Antonio assegnato agli scultori Antonio Sogia e Ventura Sanna e datato 1734-35 (M. Porcu Gaias, La chiesa della Conversione di S. Paolo a Codrongianos. Storia di una "fabbrica" moderna e dei suoi arredi, in: "Biblioteca Francescana Sarda", IX, 2000, p. 367). In diversa foggia adorna anche il citato altare di S. Pietro in Silki di Sassari, dove chiude il fastigio (M. Porcu Gaias, I sacri arredi di S. Pietro di Silki; in: San Pietro di Silki, Sassari 1998, p. 98)
6M. G. SCANO, Pittura e scultura del '600 e '700, Storia dell'arte in Sardegna, Nuoro 1992, p. 206.
7M. PORCU GAIAS, I sacri arredi di S. Pietro di Silki, cit., p. 96.
8P. Onida, Note sull'attività artistica nel Convento di San Pietro in Sassari, in: "Sacer", IX, 2002, p. 119.
9ASS, AA.NN., Alghero 1761, Atti Ville, c. 12, Ozieri, 7 ottobre 1761.
10ASS, AA.NN., Alghero 1767, Atti Ville, c. 169, Ozieri, 20 aprile 1767.
11ASS, AA.NN., Alghero 1767, Atti Ville, c. 114, Ozieri, 6 marzo 1767.
12ASS, AA.NN., Alghero 1767, Atti Ville, c. 177, Ozieri, 2 aprile 1767.
13ASS, AA.NN., Alghero 1756, Atti Ville, c. 362, Ozieri, 12 ottobre 1756.
14F. Amadu, Ozieri, Il duomo, Ozieri 1993, p. 9
15ASS, AA.NN., Alghero 1758, Atti Ville, c. 210
16Ad Ozieri non vi è traccia di nessuna chiesa dedicata a S. Andrea, forse il documento fa riferimento ad una chiesa di Alghero, tuttavia la dedicazione a S. Andrea della cappella destra del transetto risulta documentatamente più antica rispetto a quella attuale del 1845, potrebbe quindi essere quella la cappella commissionata al Camilla.
17ASS, AA.NN., Alghero 1761, Atti Ville, c. 257
18L'altare fatto realizzare da mons. Casanova è quello del transetto sinistro del duomo di Sassari, tuttora esistente e ritenuto uno dei migliori esempi di altari marmorei del Capo di Sopra.
19Una copia dell'atto più completa è presente ad Ozieri, presso l'Archivio Vescovile (c. 28), devo a Gian Gabriele Cau la cortesia di avermi inviato una copia del documento.
20F. Amadu, Ozieri, Il duomo, Ozieri 1993, p. 20
21ASS, AA.NN., Alghero 1760, Atti Ville, c. 268
22M. G. Scano, cit., p. 298.
23Giuseppe Massetti è autore della cappella di S. Michele nel duomo, Pietro Pozzo degli altari della chiesa di S. Michele, mentre Felice Burlando di alcuni altri altari del duomo di Cagliari come quella della Madonna di S. Eusebio.
24L. Agus, Un progetto inedito per un altare in marmo del XVIII secolo, in: "Gallura e Anglona", XI, n. 22, 15 dicembre 2002, pag. 8.
25G. Rotondi Terminiello, Puget trecento anni dopo, in: Pierre Puget, Milano 1995, pp. 67-70.